"Il post umano nelle reti: dalla carne alla politica"
Report dal Seminario del 2 Febbraio, realizzato per pazlab.net da Marinella Pepe, circulated on Rekombinant.org
Raccontarsi e raccontare storie: ecco l'essenza e l'ansia dell'essere umano. L'uomo, quindi, animale narrativo, è attore d'indiscussa raffinatezza stilistica in un processo ricorsivo, mai completamente esaurito, di continua ricostruzione di senso, di continua manipolazione di codici. Afferrare significati nascosti che sfuggono apparentemente alla comprensione, che si celano per poi ricomparire; lasciarsi sedurre dalla polisemia dei contesti, degli eventi, per poi rinarrarli in un continuo ed infinito gioco di rimandi: questa è l'immagine dell'umano, che viene fuori in un seminario intercattedra tenutosi a Roma presso l'Università de "La Sapienza".
L'uomo, quindi, come instancabile affabulatore e come impareggiabile esperto di bricolage. Egli, infatti, è dotato non solo di abilità narrative, ma anche di un'indole a "piegare" a proprio piacimento le funzioni degli oggetti, adattandoli o creandone di nuovi. Manipolatore, pertanto, di significati e di artefatti. Ma quanto la tecnologia e l'uso della medesima lo "snaturano" facendolo transitare verso una condizione "post-umana"?
A partire da una riflessione sulle implicazioni del rapporto problematico tra umano e post-umano nasce, alla Facoltà di Scienze della Comunicazione della Sapienza, un seminario volto ad analizzare, sotto più profili e con il contributo teorico di più discipline e di molti esperti, proprio il tema del post-umano nelle reti.
Nel secondo appuntamento di tale seminario sono intervenuti il prof. Giuseppe Longo, teorico dell'informazione, ed il prof. Sergio Brancato, docente di Teorie e tecniche del linguaggio cinematografico. Longo, dopo un rapido accenno introduttivo agli evidenti limiti manifestati dalle teorie dell'informazione che non contemplano il problema del senso, si è soffermato sulle novità che hanno reso il '900 un secolo tutt'altro che breve. Dalla seconda metà del '900, infatti, diventa centrale il problema dell'informazione, per cui si verifica un vero e proprio fiorire di teorie ed approcci epistemici che la riguardano. La prima novità, pertanto, riguarda proprio l'emergere dell'informazione come oggetto d'indagine. Un ulteriore elemento nuovo è dato dal fatto che dagli anni '50 in poi diventa sempre più centrale ed insostituibile il ruolo svolto dalle macchine dell'informazione, che nascono dal felice connubio tra tecnologia, informazione e teoria. Secondo Longo altri due elementi innovativi ridisegnano, mai come prima, le modalità percettive dell'uomo: una crescente ibridazione uomo-macchina ed una dinamica retroattiva, che in tale rapporto diventa sempre meno arginabile. Al di là dei singoli aspetti, Longo ha tenuto a sottolineare come le tecnologie informatiche abbiano modificato essenzialmente il modo di esperire e di esserci nel mondo.
Partendo proprio da quest'ultima sollecitazione, l'intervento del prof. Brancato si è risolto in una critica alla prospettiva lineare-diacronica dell'analisi del post-umano. Per Brancato umano e post-umano, in un'ottica schutziana, sono dei costrutti culturali che vedono nel primo la manifestazione del respiro dell'era della modernità e dell'orizzonte culturale dell'umanesimo, e nel secondo la naturale espressione della crisi di quest'ultimo con l'inevitabile passaggio nel post-moderno. Egli, quindi, propone di riconsiderare la prospettiva lineare-diacronica, che vede nel post-umano una forma di transizione dalla condizione umana. Sostiene, infatti, che, alla luce della dinamica retroattiva del rapporto uomo-macchina, l'essere umano è sì "produttore" di tecnologia, ma è al contempo un prodotto della stessa. Va, dunque, ridefinita e superata l'idea protesica della tecnologia, vista come un qualcosa di estraneo che sostiene in un processo di aiuto la "naturalità" dell'essere umano. In realtà, secondo Brancato, nasciamo già come essere tecnologici, noi siamo in quanto tecnologici.
Non può certo
sfuggire in quest'affermazione l'eco moriniano de "Il paradigma perduto",
che lancia una sfida epistemica proponendo un superamento della dicotomia
tra natura e cultura, percependo quest'ultima come un aspetto centrale
nel processo evolutivo della "natura" umana ed espressione tra
le più alte della medesima.
Entra in crisi, pertanto, il mito innocente della naturalità dell'essere
umano. La cultura e, quindi, l'attitudine al tecnologico non vanno viste
come un qualcosa di estraneo alla natura umana, ma come una declinazione
estremamente raffinata della stessa, volta a governare la complessità
dei mondi possibili.
Da questo seminario, dunque, più che risposte emergono nuovi percorsi
di riflessione. Siamo stati da sempre post-umani? Gli scenari apocalittici
che prefigurano un imminente e tragico ecocidio (basti ricordare le opere
di William Gibson e di Ridley Scott) nascono fecondi da un errato paradigma
dell'umano, che si basa sull'ingenuo mito della progressiva perdita della
naturalità, o, in maniera certamente visionaria, annunciano una
crisi profonda dell'umano generata, in un'ottica coevolutiva, dall'aver
violato la sacralità del patto di reciprocità con "Gaia"
nel suo complesso? Da Shannon a Prigogine. E la strada è ancora
lunga da percorre!
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